Era il mio padrino. Era il fratello di mio padre. Ma soprattutto era MIO ZIO.
Cosa posso dire di lui.
Un uomo elegante. Esigente ma gentile. Intelligente. Un uomo di compagnia.
Sempre educato, a modo, vestito bene, gilet, giacca e cravatta.
Anche negli ultimi anni, quando spesso di domenica veniva a trovarci a casa dei miei genitori, come diceva lui “sono venuto a fare un giro”, era sempre impeccabile.
Di lui ho molti bei ricordi. Negli anni della mia infanzia sono cresciuto praticamente tra casa mia e casa sua.
In quella casa, con lui, mia zia e mio cugino, ha sempre praticamente vissuto la mia nonna paterna.
Ed ecco quindi che, un poco per la nonna, un poco per gli zii e un poco per mio cugino, ero spesso a casa sua.
Passavo le domeniche o i pomeriggi d’estate con mio cugino e i suoi amici “nel viale” a giocare a calcio, con le biciclette, pattini o skateboard, a guerra, ladri e poliziotti o qualunque cosa il nostro cervello poteva inventare.
Si giocava fino a che non lo vedevamo arrivare dal fondo del viale, di ritorno dal suo ufficio, con la sua auto.
Sapevamo che era quello il momento della giornata dove si doveva, da lì a poco, terminare i giochi, perché era il momento della cena.
Credo avesse voluto vivere in quella casa, lì, proprio per la mancanza di pericoli, visto che il viale è sempre stato privato.
Praticamente era come vivere in un “mondo” magico, dove ci si conosceva tutti sulla via chiusa e dove si poteva veramente stare tranquilli e fare qualunque cosa.
Ha sempre amato avere la casa piena di amici e parenti, soprattutto nei giorni di festa.
Ho tanti bei ricordi legati a quei giorni, con noi bimbi piccoli con rispettivi papà e mamma, in casa sua a festeggiare il Natale, la Pasqua o il Capodanno.
Il soggiorno di casa dove, con il giradischi con cassette stereo, lo zio si chiudeva per ascoltare i Matia Bazar o Mina.
Le giornate trascorse d’inverno nella grande casa o d’estate nel giardino, che da piccolo mi sembrava enorme.
Spesso nella camera di mio cugino, al piano superiore della casa dove noi con i nostri giochi, rumori e risa, raramente lo abbiamo sentito arrabbiarsi.
Il nostro scivolare con il sedere sui gradini di marmo fino a piano terra, cosa che lui non ricordo abbia mai criticato.
Ricordo con tenerezza quando prendeva due di noi bambini e ci diceva “lottaaaa”, per farci giocare e sfidare tra di noi per vedere chi era il più forte.
Il tuo Albero di Natale posizionato sotto le scale dell’ingresso e noi bimbi a giocare lì sotto con l’”Allegro Chirurgo” o a “Indovina Chi?”, mentre sentivamo gli adulti parlare nella stanza a fianco.
Ricordi belli, unici. Ricordi che niente e nessuno ci potrà portare via, nemmeno una malattia o la morte.
Il mio ricordo più forte e forse anche il più comico è quello legato alla caccia alle lucertole nel giardino di casa mia, dove ho vissuto da giovane.
“Da me non ci sono” diceva sempre “le uccidono i gatti”.
E quindi ogni tanto, quando veniva a trovarci, si andava in giardino e insieme catturavamo le lucertole.
Ricordate le vecchie latte da caffè? Quelle grosse da un chilo tanto per intenderci?
Finivano tutte lì dentro. 5,10,30 lucertole per volta.
Alla fine del pomeriggio prendeva la latta e le portava a casa sua, con zia che gli chiedeva sempre “ma cosa te ne fai?” e lui che rispondeva “mangiano gli insetti, servono al giardino”.
Solo oggi mi viene il dubbio che questo suo particolare “rituale” con me, con il passare degli anni, era diventato forse più un “gioco” tra di noi che una vera e propria esigenza reale.
Ora mi piace immaginarti in un grande giardino sopra alle nuvole, seduto su una sdraietta con nonna, nonno e zia Dina a chiacchierare e a guardare giù verso di noi.
Mi piace pensare che come allora dici a qualcuno lassù “lottaaaa” e aspetti di vedere chi è il più forte.
E mi piace pensare che nel tuo giardino ancora oggi ci sia qualche tris tris tris nipote di qualcuna di quelle lucertole che avevamo catturato insieme.
E tu che dall’alto le vedi correre e arrampicarsi sui muretti e con un sorriso dici “una volta non ce n’erano…”
Ale